Negli ultimi anni la comunicazione del prodotto artigiano sui social network è stata una vera rivoluzione.
Partiti con pochi punti di riferimento, la differenza la faceva o chi proveniva da studi professionali legati a design o comunicazione oppure chi per curiosità ed apertura mentale personale, oppure perchè non si trovava a proprio agio con un’offerta ed immaginario comune, faceva tesoro dello stile dei nuovi crafters, designer indipendenti e lifestyle bloggers internazionali: blog che sono stati principalmente la comunicazione trasversale di uno stile, piccoli brand ora affermati ma nati come autoproduzioni.
Una nuova composizione dell’immagine legata al taglio quadrato di Instagram, (il social più direttamente connesso allo sviluppo e comunicazione dei nuovi piccoli brand) un trattamento del feed come moodboard, uno styling pulito e coinvolgente. Uno stile “domestico” e quotidiano ma comunicato professionalmente.
Chi nel tempo ha saputo rendere proprio il mezzo ne ha raccolto frutti in fatto di vendite: sono fiorite produzioni di poco più che monoprodotti ma ben comunicati, si sono creati brand trasversali di lifestyle legati anche solo all’uso di colori ed immaginario, piccole PMI hanno raggiunto un pubblico digitale e finale potenzialmente interessato, senza intermediari.
Un effetto positivo che ha però comportato, specie negli ultimissimi anni, un prevedibile effetto secondario:
chi comunica maggiormente, al di là della validità reale del proprio prodotto, è il più visibile e volente o nolente influenza chi guarda. Dall’esterno si rischia di ricevere una visione falsata: vedo spessissimo un certo tipo di prodotto, spinto sui social media, con un determinata tipologia comunicativa. E’ immediato pensare che quel prodotto e quella strategia d’immagine sia quella vincente, quella da seguire. Il risultato è un adeguamento (per non dire copia) a prodotto ed immagine. Una reazione a catena che, vuoi per insicurezza o per superficialità, ha portato alla creazione negli ultimi due anni di una “bolla” di prodotti e comunicazione identici ed inutili.
Specialmente nel settore delle autoproduzioni, che è poi il primo step per un possibile ed auspicabile percorso di brand nella moda o nel design, questo effetto secondario non ha portato a nulla se non a risultati legati all’immediato. La mancanza di una strategia lascia orfani nel lungo periodo: i feed Instagram sono pieni di monoprodotti che continuano e replicare se stessi, piccoli brand nati con prodotti ed immaginario comuni ad una scena più che ad una idea personale e che ora non riescono più a crescere ed a richiamare la stessa attenzione.
Mi spiego meglio.
Ci sono stati i primi autoproduttori, dopo molta ricerca sono risultati innovativi per aver messo sul mercato oggetti freschi ed espressivi di un momento storico particolare e di un cambiamento di gusto: sono stati quelli più visibili in un momento di deserto e di cambiamento.
Per questo motivo sono stati i più imitati da una seconda, più numerosa cerchia, creando un effetto a catena: arrivati in un secondo tempo rispetto ai primi, questi ultimi hanno saputo usare i social network più disinvoltamente dei loro predecessori. L’ispirazione allo stile dei primi ma anche a tanti pionieri internazionali era evidente, ma comunicandolo meglio e di più, il risultato è stato quello di una visibilità paradossalmente maggiore delle loro fonti di ispirazione iniziali.
Fin qui, niente di male se non il percorso normale di qualsiasi ondata innovativa.
Il problema è stato con il livello successivo: composto da persone che con poca se non inesistente ricerca, hanno provato a saltare sul treno più per sentirsi parte di un mondo senza un reale contenuto da presentare o doti comunicative originali. Il muro di immagini, post continui e prodotti molto “visivi” e bidimensionali (o come si dice, “instagrammabili”) di chi è venuto prima di loro ha comunicato a questa fascia di persone una visione parziale e superficiale: vedo solo chi comunica di più, mi adeguo a quello che vedo di più, produco oggetti “mordi e fuggi” immediatamente comprensibili da foto altrimenti non venderò.
In aggiunta, la velocità della comunicazione, i likes immediati dati dai tanti followers, i commenti iperbolici e i cuori a profusione (non per forza proporzionati agli effettivi volumi di vendita), davano un’idea di produzione quasi magica e vendite facili.
Al di là del voler tracciare un filo conduttore di quanto successo nelle varie fasi di questa ondata di nuovi artigiani e sopratutto hobbisti, i primi ad arrivare hanno continuato, senza troppi clamori e con piccoli, consapevoli e meditatissimi passi a produrre e crescere, servendosi in maniera equilibrata dei social network, mettendo sempre il prodotto al primo posto e cominciando a dialogare con ambienti legati a moda e design, anche internazionali.
I secondi, che in effetti sono responsabili anche involontariamente di una certa saturazione della scena e spesso di una comunicazione monocorde e compiaciuta, hanno inizialmente beneficiato di popolarità web e di una buona vendita di prodotti veloci e fotogenici, ma passata l’onda emotiva e di novità iniziale, fanno fatica attualmente a crescere e a uscire come singoli da un’idea di scena comune.
I terzi forse non hanno mai veramente cominciato sul serio, hanno venduto poco chiedendosi come mai, dato che quello che producevano sembrava fosse così di successo per altri, rispondendosi di fatto da soli.
Mi sento di lanciare alcuni spunti di riflessione:
I prodotti vistosamente visibili sui social sono sempre quelli di maggiore successo commerciale?
Ha sempre senso progettare pensando a quanto il mio prodotto sarà fotogenico?
Il tempo di costruzione di un prodotto di reale successo è quello dei social?
La comunicazione fotografica del percorso manifatturiero ci ha assuefatto e ora, dandolo per scontato, non lo percepiamo più come differenziante?
Il bisogno di pubblicare online subito quanto prodotto e il ricevere facili consensi da tastiera ci impigrisce dall’effettuare miglioramenti e modifiche?
Quanto l’aver comunicato un’immagine così precisa sui social ci ha favorito? E quanto ora ci imprigiona dall’evolvere verso altro?
▶︎Leggi altre mie riflessioni sul rapporto tra prodotto artigianale e comunicazione nel post Il Prodotto artigianale e la frazione di secondo.