Negli ultimi anni si è riscoperto finalmente il valore dell’aggiustare le cose, per anni abbiamo creduto che, se una cosa costava poco, pochissimo, in fondo potevamo buttarla con leggerezza.Ma i prezzi bassi degli oggetti non c’entrano nulla col loro valore, hanno invece a che fare con produzioni fatte in paesi dove il lavoro è sottopagato (se vogliamo esserte gentili), in cui la miseria è così forte che i produttori praticamente lavorano gratis pur di accaparrarsi una produzione. Una tshirt, se di Dolce&Gabbbana o di H&M, è stata ugualmente studiata, tagliata, cucita, stampata, stirata e confezionata.Dietro c’è il lavoro di una persona vera come noi, magari una ragazzina o una giovane mamma, che chissà che pensieri aveva in testa. (Se volete approfondire, guardatevi questo documentario) Il trasporto, la tintura e l’impacchettamento di questa tshirt ha creato nella stessa quantità inquinamento e scorie. Il lavoro dietro le due tshirts è uguale per entrambe, una esce a 3,99 euro, una a 20 volte di più, (magari). Quindi perchè pensare di poter buttare allegramente qualcosa se il suo costo non c’entra nulla col valore reale ma è solo frutto di quantitativi di produzione e logiche di brand?
Il basso costo generalizzato ci ha riempito le case di oggetti di cui non abbiamo bisogno, che abbiamo comprato solo perchè costavano nulla. Abbiamo armadi con 20 tshirt di cui mettiamo sempre le stesse 5, ma intanto abbiamo creato inquinamento e sfruttamento per 20 capi e non per 5. Prima di comprare qualsiasi cosa prodotta industrialmente nei paesi dall’altra parte del mondo, anche se costa 2 euro, dovremmo sempre chiederci se ne abbiamo bisogno e non renderci corresponsabili di questa idea falsata di benessere.Se possiamo solo permetterci cose di basso prezzo, dovremmo però limitarci a farlo solo per cosa ci serve davvero.
A questo proposito recentemente è stato prodotto un reality dalla televisione norvegese, dal nome “Sweatshop Deadly Fashion” , nel quale 3 fashion blogger venivano mandate in Asia per vedere con i loro occhi cosa c’era dietro i loro abiti firmati e a lavorare per tre mesi in una sweatshop, una “fabbrica del sudore”.Potete guardarlo, con i sottotitoli in inglese, qui.
Il rammendo sui capi d’abbigliamento, intanto, è diventata una tecnica (recuperata da raffinate tradizioni come il Sashiko o il Boro asiatici) da imparare come la maglia o uncinetto, in alcuni casi portata ad arte, come ad esempio tutto il filone del “Visible Mending”, il rammendo visibile, da creativi come Celia Pym o Tom Of Holland.
La crisi ci ha costretto a pensarci due volte, prima di buttare un frullatore “no brand” che magari avevamo pagato solo 30 euro (ma forse prodotto con la stessa qualità e nello stesso stabilimento di quello “firmato”).In tutte le città stanno nascendo luoghi dove si riparano oggetti, specialmente computer e telefoni, le prime sono state le ciclofficine, molte di queste recuperano vecchie biciclette da riparare e regalare a chi non ha neanche una macchina e deve raggiungere in qualche modo il posto di lavoro.La crisi ci sta facendo riguardare agli oggetti come cose durevoli e non come accumulo.Vostra nonna ha probabilmente avuto lo stesso frullatore tutta la vita, chissà quante volte riparato, giusto?
In questo filone rientra anche il caso di Sugru, una sorta di colla modellabile che sembra una specie di Didò, ma in realtà si asciuga mantenendo la sua elasticità e permeabilità.
Sugru permette di riparare praticamente tutto, ma anche di fare interventi creativi, come ad esempio creare una manopola, aumentare l’attrito di un oggetto, personalizzare una presa elettrica, creare un pulsante.Io ci ho aggiustato il telecomando della macchina, il cavetto dell’iPhone che si stava sfilacciando e perfino un ago della Maglieria Magica, ma c’è chi ci fa timbri o personalizza i pupazzetti del Lego.
Sugru, vincitrice di tantissimi premi (nel 2010 la rivista Time l’ha nominata tra le migliori invenzioni dell’anno, 12 posizioni prima dell’iPad) e definita la migliore innovazione dopo lo scotch, è in vendita online ma anche in posti come il London Design Museum.
Sugru è stata inventata da una ragazza, Jane Ní Dhulchaointighnon, non meraviglia granchè, dato che l’aggiustare le cose è una tradizione tutta al femminile.