C’è un legame antico, economicamente proficuo e familiare tra design ed artigianato. In Italia lo sapevamo bene, poi ce lo siamo scordato. Abbiamo messo da parte le mani, gli utensili, gli odori dei materiali e i rumori del lavoro sostituendolo unicamente con tavoletta grafica, il CAD e schede campioni dove materiali vivi come legno, porcellana e pietra, vengono tagliati a quadretti ordinati, diventando un catalogo immediato ed esteticamente ineccepibile ma senza anima e sapore. Nelle scuole di design si sta sul computer e si sfogliano foto online di designer illustri facendo a gara a chi ne riconosce di più; le competenti e raffinate maestranze che abbiamo, uniche al mondo, vanno a casa ed in crisi d’identità con un intero settore, che a questo punto pensa di non essere abbastanza: abbastanza economico, abbastanza veloce.
Tutto quello per cui ci riconoscono all’estero (pensiamo solo al Made In Italy più celebrato: design, food, moda), non è mai stato nè economico nè veloce. Solo bello. Bello in maniera intelligente, giusta per i tempi, focalizzata, curata nel dettaglio, elegante, aggiornata, personalizzata. Ma abbiamo pensato che era tutto passato, che erano altri tempi, che il mercato chiedeva altro. Abbiamo spostato tutto il lavoro che pensavamo “basso” in nazioni di cui neanche conosciamo la geografia, a persone a cui non abbiamo mai stretto la mano. Abbiamo passato ore a controllare mail e foto mal fatte di prototipi che non toccavamo ed annusavamo e non potevamo migliorare. Siamo scesi a compromessi. Abbiamo abbozzato perchè non c’era tempo, non ci si capiva, non c’era il materiale, costava troppo.
Ci siamo trovati affogati in un oceano di prodotti uguali, morti prima ancora di nascere, di cui non conserveremo memoria, di cui non avevamo bisogno, che non ci piacevano davvero, che non ci contraddistinguevano, ma che erano, sono, dovunque. E abbiamo pensato, persi nella nostra insicurezza, che se questi prodotti erano dovunque tanto brutti non dovevano essere. La nostra carta d’identità vincente, l’autenticità, era diventata solo una parola vuota di cui si fregiavano a scopo di marketing vanesio, insulsi marchi di pronto moda.
Il lavorare a computer e la progettazione astratta sono state fatte passare come un’evoluzione del lavoro manuale, pura follia quando storicamente in Italia, ma anche nel mondo, è proprio l’insieme delle due cose, pensiero e materia, che creano un prodotto vivo ed efficace, dove la progettazione si anima e fiorisce col contatto di materiali, utensili (ma anche difficoltà tecniche) e l’artigiano non è più un semnplice esecutore ma un partner di confronto che aiuta con la sua competenza e passione ( il “lavoro ben fatto” di cui parla Stefano Micelli in Futuro Artigiano ) a migliorare il risultato finale.
Negli ultimi anni nel mondo e negli ultimissimi in Italia, la crisi economica, la sempre meno passiva accettazione dell’orda di prodotti massificati, assieme ad altri elementi di origine sociale ed etica, sta portando ad un totale cambio di mentalità generazionale e trasversale in cui tutto ciò che è attività manuale rientra nella nostra quotidianità non più solo come dovere quotidiano o hobby privato e limitato nel tempo, ma come opportunità stimolante ed appagante, possibilità imprenditoriale, occasione sociale, dichiarazione etica e differenziazione personale.
Sempre più giovani designers, grafici, architetti e stilisti, usciti da scuole che spesso privilegiano teoria e astrattismo, entrano in contatto con botteghe e Fab Lab, cominciano a stampare, cucire, segare, magari facendo mettere le mani nei capelli ai genitori, che lo vedono come un passo indietro nella loro emancipazione quando invece è proprio da questa doppia esperienza, dalla curiosità e dal bisogno, quasi fisico, di mettersi al lavoro con sapori e materiali, che renderà la loro competenza più completa e davvero vincente.
Fioriscono autoproduzioni, edizioni limitate, collaborazioni e brand indipendenti, auspicando che nel prossimo futuro nasceranno sempre più figure di professionali di designer con competenze artigiane, che sappiano lavorare dentro le aziende non solo nell’ufficio tecnico, ma sporcandosi le mani e scambiandosi pareri, consigli e magari anche qualche parolaccia con le maestranze, creando oggetti vivi e pieni di autenticità, che siano frutto del lavoro, il pensiero e la passione di più persone, di cui il designer è solo uno di quelle.
Marco Bettiol, nel suo libro Raccontare il Made In Italy, afferma che il design italiano fonda la sua forza nell’aver trasformato oggetti di uso quotidiano, banalmente funzionali, in oggetti in grado di colpire ed emozionare il consumatore, che hanno nella loro bellezza ciò che li differenzia dalla produzione di massa, migliorando la qualità della vita delle persone attraverso la loro scelta estetica. Non si parla di prezzo ammirando una Cimbali in un locale a Tokyo.
Durante tutto il 2015 in Irlanda si celebra l’ “Year of Design” con un ricco programma di eventi il cui scopo è promuovere il meglio del design, dell’artigianato e della creatività irlandese. Organizzato dal Design&Craft Council irlandese, ente variegato e lungimirante, prevede tour turistici tematici nei craft studio e botteghe, incontri con designer ed artigiani, corsi, esibizioni, tavole rotonde, partecipazioni a fiere internazionali.
Per due giorni sarò a Dublino raccontando persone, oggetti, dettagli e sensazioni: una prima puntata di “Craftelling” itinerante, tema da me coniato per l’occasione, che vuole aprire gli occhi su nuovi esempi, possibilità, idee ed entusiasmo. Ricominciando da chi, come me, non ha mai avuto una buona idea senza prima toccare un materiale o subito un fallimento.
“Good design is thinking made visible”.